"Buonasera, in questo sabato italiano, come canterebbe Sergio Caputo, scrivo le mie considerazioni su 'Il fiore azteco’ dello scrittore argentino Gustavo Nielsen, tradotto in italiano da Gianni Barone. Stiamo parlando di un romanzo di formazione, con uno spiccato carattere comico secondo me, una comicità plautina direi, anche se ciò non lo rende immune da una malinconia che ne costituisce quasi una seconda pelle; talvolta le due cose s’intersecano e finisci col ridere anche su un letto d’ospedale; c’è, potremmo dire, il riso commosso che puoi trovare nelle grandi opere, perché la vita questo è, uno strano, innaturale connubio tra risate e lacrime.
Il protagonista, Fabio (suo il punto di vista), è un ragazzo argentino con la passione dei giochi di magia, in particolare per il fiore azteco, una donna che vede raffigurata, solo nel suo busto, in un libro sulla prestidigitazione.
Come tutti i suoi coetanei, attraversa la turbolenza ormonale, sperimentando un sesso onanistico, che ha, come oggetto contemplativo, una ragazza, Maria Marta, sorella di Carlos, suo migliore amico, con doti da contorsionista, e non solo; ma c’è anche spazio per la tenerezza, quella delle parole di Fabio davanti a una ragazza mentre gli dà le carte: “...sfiorare le sue dita al passaggio delle carte, socchiudere gli occhi sentendo quell’infinitesima carezza, quella minima richiesta di pelli che non si sono ancora baciate, che non si sono amate.”
Il romanzo non di rado è popolato da un’umanità variopinta, parte della quale assiste allo spettacolino di magia messo su in un garage: “C’erano anche il vicino dell’angolo, la pettegola che abitava a metà della strada, col suo fidanzato pieno di soldi, i fratellini Martinez, la cilena dell'alimentari, le sorelle Rapazzo (la più grande con un bebè in braccio), la ragazza che abitava di fronte, anche lei madre single ma che aveva ceduto il bambino a una coppia ed era caduta in depressione, la vecchia Lavandina e la nonna. Il barbone che abitava nella stessa strada dava un’occhiata alla porta del garage senza entrare. Una questione di odori ci allontanava dal suo corpo, per questo non lo facevamo entrare”.
Il gioco di prestigio del fiore azteco è talmente un’ossessione per Fabio che, durante la naia, nell'incontro con una prostituta, il primo con una donna, viene accarezzato dall’idea di riprodurlo con lei, piano poi scartato per la presenza di fango nei suoi piedi, cosa che non avrebbe reso onore al numero di magia; tra l’altro, particolare gustoso, da commedia sexy all’italiana (una di quelle sul mondo militare per l’esattezza), a pagare la marchetta è un sottoufficiale che alla fine offre a Fabio anche un gelato, una sorta di premio.
L’ opera parla pure del conflitto anglo-argentino per la contesa delle isole Malvine, nei primi anni Ottanta; alla drammaticità delle sorti dei soldati argentini che sono nel teatro di guerra si oppongono le vicende più amene, ridanciane, di quelli (tra questi Fabio) rimasti in patria, si pensi alla moglie del tenente, sempre truccata vistosamente, che lo chiama "bonbon".
La magia attraversa questo splendido romanzo (che ci dimostra ulteriormente quali doni ci sappia portare la letteratura latinoamericana), non solo quella dei giochi di prestigio, ma anche e soprattutto quella della gioventù a cui appartengono i suoi personaggi principali, la gioventù col suo sesso alle volte più immaginato che consumato (come in questo caso), con le grandi amicizie, quelle del “saremo amici per sempre”, come nel caso del legame tra il personaggio principale e Carlos, una storia nella storia.
Nel corso del romanzo noi vediamo crescere Fabio, forse solo anagraficamente, perché essenzialmente resta ancorato ai suoi sogni erotici adolescenziali; Fabio, forse, è un ragazzo che non vuole crescere, un Holden Caulfield che parla argentino."
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