"Dopo l'intervento dell'amica Anna Verlezza, che ha commentato in diretta Il fiore atzeco di Gustavo Nielsen nella traduzione di Gianni Barone, mi è davvero difficile aggiungere qualcosa di nuovo. Tuttavia ci proverò lasciando andare i pensieri in libertà, senza pretese, perché il libro esige considerazione e non merita di essere trascurato o ignorato. Non riassumerò la trama, ma solo alcune impressioni generali.
Il titolo ricorda un numero classico di prestidigitazione, dove una donna viene tagliata in due parti con una grossa sega. La donna dimezzata ricorda la metafora della colpa originale che, in un'ottica patriarcale, sarebbe insita nell'ambiguità naturale della donna, in quella che è la classica dicotomia tra donna angelicata, spirituale e trascendente /vs/ donna tentatrice, carnale e immanente. In una società fortemente caratterizzata da certi valori tradizionali latini, non stupisce che il giovane Fabio, in piena turbe ormonale adolescenziale, sia combattuto tra desiderio e senso del peccato, tra purezza e sporcizia, tanto da scegliere il disimpegno fuori dalla realtà, in una femmina dimezzata che rappresenti l'appagamento fai da te, il sesso facile, quello che fan tutti. Infatti la masturbazione è la costante del romanzo, almeno finché non si perviene a una risoluzione del conflitto, ma per quello bisogna leggere il finale del libro. La masturbazione è la droga di Fabio per distaccarsi dal malessere, per autopunirsi o gratificarsi a seconda degli eventi, ma è anche sublimazione del sesso, una rinuncia all'altro, quello degli adulti, per senso di inadeguatezza. Il protagonista nella scoperta del proprio corpo e nella sua crescita non è solo. Il suo amico Carlos lo accompagna e gli fa da contraltare. Carlos è dei due quello meglio equipaggiato, dei due è lui quello dominante, almeno finché una tragica malattia capovolge le sorti e il protagonista può così cominciare il suo riscatto, attraverso un personale calvario.
Fabio a suo modo è un ribelle passivo, uno che resiste alle storture della vita, e per farlo sceglie una visione barocca del mondo dove ciò che appare non è vero. Nella scelta del suo gioco, che poi diventa un modo di essere, la prestidigitazione, il ragazzo mette in contrapposizione le contraddizioni, gli inganni, dell'esistenza. Mi riferisco ai valori ingannevoli che accompagnano la vita delle persone che lastricano la strada delle loro esistenze con valori come il successo, l'amor patrio o il lavoro sicuro sotto l'ala dello Stato, convinte di godere di una felicità o anche di una realizzazione di sé, ma che in realtà non fanno altro che praticare un diverso onanismo, portatore di frustrazioni. Certi valori nel libro sono visti come squallidi quando portano a inutili guerre (la guerra delle Falkland) e al dolore (perpetrato nelle madri di Plaza de Mayo) o quando sono inutili carrozzoni burocratici statali che ingannano la povera gente. E l'inganno è un po' il tema che attraversa il libro, che si fa appunto autoinganno personale e sociale di cui la masturbazione è metafora. Anche Carlos inganna, anche lui ribelle passivo per appartenere a una categoria sociale emarginata, e rifiuta il sistema ingiusto e sostanzialmente repressivo. Nel gioco degli archetipi letterari è l'aiutante che si fa vittima per permettere al protagonista di crescere, di andare avanti. Alla fine, mi pare, gli unici valori che si salvano sono gli affetti famigliari e l'amicizia, l'amore, gli unici che danno senso alla vita, anche se spesso li si scopre per sottrazione, per la loro mancanza. Forse a qualcuno una visione conclusiva di questo tipo può sembrare riduttiva e banale, ma io non lo credo, perché, sempre secondo me, per sentirci umani non abbiamo così tante altre opzioni."
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